In passato, i certificati di deposito hanno rappresentato un metodo sicuro, semplice ed efficace per custodire i propri risparmi. Ma è ancora così? Al giorno d’oggi le soluzioni dedicate a chi sente la necessità di investire i propri risparmi o di conservarli in modo sicuro sono molte e di varia natura. Nonostante ciò, non sono poche le persone che ancora intendono affidarsi a questo tipo di titoli. Ma in cosa consistono nello specifico i certificati di deposito? Come funzionano? Quali sono gli eventuali rischi che si possono correre acquistandoli e quali sono le alternative più indicate presenti al momento sul mercato? Ecco una breve guida per fare chiarezza su questo argomento.
Certificati di deposito: cosa sono?
Come accennato, i certificati di deposito non sono altro che certificati di credito, ovvero dei titoli emessi da parte delle banche al cliente, e costituiscono un titolo nominativo. Il rilascio è subordinato al deposito di una determinata somma di denaro, che viene quindi affidata alla banca. Il certificato di deposito ha una precisa durata, vincolata alla scadenza (detto “vincolo temporale fisso”), che va dai tre mesi (durata minima) ai cinque anni (durata massima). Durante il corso di questo lasso di tempo (la cui precisa durata va stabilita in sede contrattuale), si maturano degli interessi. Gli interessi vengono accreditati al cliente, insieme alla somma depositata inizialmente, allo scadere del contratto.
Pro e contro
Come accennato in precedenza, negli ultimi anni questa soluzione di risparmio ha perso gran parte della sua popolarità a favore di metodologie più immediate. Molte banche, sia fisiche che virtuali, mettono infatti a disposizione dei piani di risparmio creati su misura sulle esigenze del cliente. A questo motivo si aggiunge anche l’impossibilità di esigere il credito prima della naturale scadenza del contratto. Inoltre, per ottenere dei guadagni che siano in qualche modo significativi, le tempistiche non sono affatto brevi. In media il rendimento massimo ottenibile è dell’1,82%, a fronte però di un vincolo della durata di 60 mesi, ovvero cinque anni.
In più, c’è da considerare anche la – remota – eventualità che l’istituto di credito non sia in grado, allo scadere del contratto, di restituire le somme depositate. Ciò comporterebbe l’intervento di un sistema di garanzia (spesso identificato nel Fondo Interbancario Tutela Depositi), che però non è in grado di coprire somme superiori ai 100.000 Euro.
Il titolo stesso, poi, è come detto nominativo. Perdere il titolo può equivalere quindi a una reale perdita del capitale depositato.
Tipologie di certificati di deposito
Esistono diverse tipologie di certificati di deposito:
- A tasso variabile
- A tasso fisso
- con cedola
- Zero coupon
Nel primo caso, cioè nel caso dei certificati di deposito a tasso variabile, gli interessi maturati possono subire delle variazioni dovute all’andamento dei tassi di mercato. Ciò non si verifica nel secondo caso, in quanto il tasso fisso è concordato al momento della stipula del contratto e non può subire variazioni. Ciò può avere dei vantaggi, ma allo stesso tempo non permette di godere di eventuali variazioni al rialzo dei tassi di interesse. In base all’ultima variante, invece, gli interessi sono liquidati nel momento in cui il certificato arriva alla sua scadenza, e quindi corrisposti unitamente alla somma inizialmente depositata.
Nel caso dei certificati di deposito con cedola, si possono invece esigere gli interessi maturati fino a quel momento. Infatti, questi sono accreditati su base periodica, al contrario del capitale depositato, che viene comunque restituito al momento della scadenza. In questo modo gli interessi maturati nella loro totalità saranno sensibilmente maggiori, ma garantiranno delle entrate costanti.