L’Italia è stata per diversi secoli un paese fondamentalmente agricolo. La posizione e il clima sono infatti da sempre favorevoli a molte colture di diverso tipo, che caratterizzano ogni zona per una specifica tradizione agricola e alimentare. La vicinanza al mare, il clima temperato e la dedizione quotidiana han permesso a moltissime famiglie di fare dell’agricoltura la propria attività di lavoro e di sostentamento.
Soprattutto in passato, uno dei contratti più diffusi nel mondo agricolo era quello della mezzadria. Con questo contratto, detto “associativo”, il proprietario del terreno dà in affitto la zona a un coltivatore, il quale, capo e rappresentante di una famiglia colonica, divide con il proprietario gli utili della coltivazione.
Cos’è la mezzadria
Con il contratto di mezzadria, il proprietario di un fondo e il mezzadro si associano per la coltivazione del terreno e per l’esercizio di ogni attività ad esso connessa. Il proprietario concede il terreno e i mezzi necessari a coltivarlo, nonché una casa per il mezzadro e per la sua famiglia. Il mezzadro, dal canto suo, offre il proprio lavoro e quello della propria famiglia, nonché al mantenimento delle strutture occupate e alla cura della produttività del terreno. I due, poi, si dividono i prodotti e gli utili. Per utili si intende sia i prodotti della coltivazione, quindi frutta, verdura e grano, sia ciò che deriva da una possibile vendita degli stessi.
Il contratto di mezzadria
La mezzadria è stata per moltissimi anni la realtà di moltissime famiglie, in Italia. Dal Medioevo, con i suoi rapporti feudali, in alcune zone del nostro paese si è protratta sino agli anni Ottanta del Novecento, quando due leggi specifiche hanno regolamentato questo tipo di contratto associativo.
La legge 756 del 1964 già disincentivava la stipulazione di questi contratti, stabilendo che dal 1974 sarebbe stato vietato costituirne di nuovi. La legge 203 del 1982, invece, ha imposto la fine dei contratti a mezzadria, riconvertendoli in contratti di affitto. Questa, però, specifica la prosecuzione dei rapporti lavorativi: il legame tra proprietario e mezzadro continua, pur cambiando nelle sue specifiche normative.
Oggi la mezzadria è disciplinata dal Codice Civile nell’articolo 2141, che la definisce come il contratto con cui il concedente e il mezzadro si associano per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, con la divisione di utili e prodotti. La stessa, però, ammette anche che le proporzioni con cui questi vengono divisi siano diverse. Lo “stipendio” di un mezzadro e della sua famiglia, quindi, non è stabilito a priori: dipende dal tipo di contratto e, soprattutto, da ciò che il terreno riesce a produrre. Ciò che invece è fissa è la percentuale di ripartizione delle spese di conduzione tra mezzadro e concedente, che è del 50%.
La mezzadria può essere a tempo determinato o indeterminato, a seconda di ciò che si stabilisce. Nel primo caso, si rinnova di anno in anno automaticamente. In ogni caso, il contratto stabilisce che il mezzadro e la sua famiglia hanno l’obbligo di risiedere nel podere e di custodirlo e il divieto di concederlo in subaffitto. Alla morte del mezzadro, il contratto succede agli eredi.