Per definizione, il coltivatore diretto è quell’imprenditore agricolo che si dedica abitualmente e direttamente alla coltivazione manuale dei terreni di cui è proprietario, affittuario, usufruttuario o enfiteuta oppure si occupa dell’allevamento del bestiame e delle attività a questo collegate. Per avere la qualifica di coltivatore diretto è necessario avere dei requisiti: vediamo quali sono e scopriamo a quale tassazione sono soggetti questi imprenditori agricoli.
Requisiti per ottenere la qualifica di coltivatori diretti
La qualifica di coltivatore diretto è legata alla presenza di requisiti soggettivi e oggettivi. Innanzi tutto il coltivatore deve contribuire (con il suo lavoro e con quello della sua famiglia) ad almeno un terzo del fabbisogno lavorativo dell’azienda, accumulando un numero minimo di 104 giornate di lavoro annuo.
Poi l’attività di coltivatore deve essere svolta in modo prevalente ed abituale: deve rappresentare la forma di reddito più importante per il lavoratore, che deve impegnarsi per la maggior parte del suo tempo proprio a questa attività. Questo significa che il soggetto può svolgere contemporaneamente anche altre attività, ma quella di coltivatore deve essere quella prevalente sia in termini di tempo occupato che in termini di reddito.
Esiste una differenza tra i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali: i primi possono infatti godere del beneficio rappresentato dal diritto di prelazione nella compravendita di terreni agricoli. Se il coltivatore conduce il terreno in affitto da almeno due anni e il proprietario ha intenzione di venderlo, il coltivatore diretto ha un diritto di prelazione. Se il terreno non è affittato ad un coltivatore diretto, il diritto di prelazione spetta ai coltivatori diretti che sono proprietari dei terreni confinanti.
L’obiettivo di questa norma è quello di promuovere e facilitare l’acquisto di terreni da parte di chi ha un reale interesse a coltivarli effettivamente. Però l’acquisto del fondo in prelazione, aggiunto a quelli già posseduti, non deve superare il triplo della capacità lavorativa del coltivatore e della sua famiglia. Non ci può essere prelazione se il terreno è oggetto di permuta, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione, vendita forzata e donazione.
Tassazione e contributi
L’imprenditore agricolo deve iscriversi al Registro delle Imprese e deve rivolgersi all’Agenzia delle Entrate per ottenere la partita Iva. C’è la possibilità di scegliere tra il regime speciale e quello normale: l’opzione scelta va indicata nella prima dichiarazione Iva ed è valida per tre anni. Il regime speciale prevede una detrazione Iva forfettaria basata sulle percentuali previste dalla legge.
I produttori agricoli che nell’anno precedente hanno realizzato un volume di affari inferiore ai settemila euro (costituito per almeno due tersi da determinati prodotti) sono esenti dall’imposta e dagli obblighi contabili e documentali, ma anche dall’iscrizione al Registro delle Imprese. Rimane l’obbligo di conservazione di fatture e bollette doganali.
I coltivatori diretti devono versare i contributi, calcolati applicando l’aliquota di finanziamento, una volta diverse per età (maggiore o minore di 21 anni) e per zone (normale o svantaggiata) ma dal 2018 uguali per tutti al 24%, al reddito medio convenzionale giornaliero, fissato per il 2020 a 59,45 euro. Alla contribuzione così calcolata va aggiunto il contributo addizionale per ciascuna giornata di iscrizione (0,68 euro per un massimo di 156 giornata per ogni unità attiva).
Il contributo Inail annuo per il 2020 è stato fissato a 768,50 euro per le zone normali e a 5532,18 euro per le zone svantaggiate e i territori montani. I contributi devono essere pagati in quattro rate con scadenza 16 luglio, 16 settembre, 16 novembre e 18 gennaio, utilizzando il modello F24.